Revista l’Opera

Quest’anno la Lyric Opera ha concluso in bellezza la stagione, più breve del consueto, con due spettacoli di eccellenza: una Tosca con un’accattivante messa in scena e interpreti di rilievo e una nuova opera di Terence Blanchard, Fire Shut Up in my Bones, coprodotta con il Metropolitan di New York dove l’opera ha aperto la stagione lo scorso ottobre.Tosca ha portato a Chicago per la prima volta la direttrice d’orchestrak coreana Eun Sun Kim, dal 2021 direttore stabile alla San Francisco Opera especialista di Puccini. L’allestimento era quello disegnato da Jean Pierre Ponnelle per la San Francisco Opera nel 1972. Gli splendidi costumi erano di Marcel Escoffier ed erano ispirati a quelli da lui stesso creati nel 1964 per Tosca con Maria Callas al Covent Garden. A riprendere in mano il materiale storico dei due artisti c’era Louisa Miller, competente regista, che sa creare efficaci momenti di teatro lavorando con le belle luci di Duane Schuler. Le scene, pur tradizionali e imponenti (con gli interni della Chiesa di San Andrea della Valle e dello studio di Scarpia e i bastioni del castello dominati dalla statua dell’angelo vista dal retro) non sono pesanti e creano ambienti in cui gli interpreti si muovono con agio e naturalezza, grazie anche alla sapiente guida registica. Gli interpreti principali Michelle Bradley come Tosca, Russell Thomas come Cavaradossi e l’argentino Fabián Veloz come Scarpia, sono tutti cantanti di prima grandezza che uniscono voci importanti a un sicuro istinto teatrale.Entrambi artisti afro-americani, Bradley e Thomas avrebbero dovuto comparire in Ernani a San Francisco nel 2020, uno spettacolo poi annullato per la pandemia. Finalmente insiemeyei ruoli di Tosca e Cavaradossi i due fanno faville, ciascuno con un’amplissima gamma di colori e inflessioni espressive, un magnifico senso del fraseggio che regge benissimo il grande palcoscenico. Il segreto, come per i lavori di Jake Higgins che abbiamo visto di recente a Chicago, da Dead Man Walking a Moby Dick, è il senso di libertà e insieme coerenza compositiva che si respira e una scrittura che dimostra altrettanta maestria nell’orchestra e nelle voci. Questa è un’opera, scritta da un compositore insieme duttile e autorevole che riesce ad attingere a una varietà di linguaggi di matrice afro-americana (incluso il gospel e il blues), per crearne uno proprio che “funziona” con magnifica spontaneità sul palcoscenico. La scelta di un tema “forte” accomuna Fire alle migliori opere di John Adams, Philip Glass, Anthony Davis (autore di X: The Life and Times of Malcom X o, appunto, Jake Higgins. Qui si tratta della traumatica esperienza dell’abuso sessuale vissuta da un ragazzino di colore nella Louisia-na povera di qualche decennio fa. Il ragazzo, crescendo, rielabora il trauma, accetta la propria sessualità in tutte le sue stumature e riesce a chiudere il capitolo rinunciando alla vendetta e costruendosi un’identità positiva e produttiva. Basato sul libro di memorie pubblicato nel 2014 da Charles M. Blow, un noto opinionista del “*New York Times”, è il primo libretto d’opera della regista cinematografica Kasi Lemmons, da tempo collaboratrice di Blanchard. Lavorando insieme al compositore e a James Robinson, il Direttore Artistico della Opera Theater di St. Louis che ha commissionato l’opera in forma cameristica nel 2019 curandone poi la regia nella versione ampliata vista a New York e Chicago, Lemmons ha creato un testo stringato, efficace e spesso di illuminante e poetica interiorità. La sdoppiatura di Charles nelle due figure del bambino e dell’adulto, che spesso coabitanosulla scena, apre molte posibilità espressive, come quando, nella bella scena finale, il bambino (che in questa scena non canta) esorta Charles a non servirsi dell’arma che ha portato con sà per vendicarsi sul cugino Chester, autore dello stupro, e a lasciare la piccola città del Sud per ricostruirsi una vita altrove. Sono bellissime le arie aftidate al personaggi di Charles e della madre Billie, donna forte che vive con i cinque figli dopo aver cacciato di casa il marito fedifrago e incapace di mantenere la familia. Nonostante il grande amore per il figlio più piccolo, Billie non riesce a vedere quanto è realmente accaduto. Con saggezza forgiata dalle difficoltà della vita, essa gli che regge benissimo il grande palcoscenico. Il segreto, come per i lavori di Jake Higgins che abbiamo visto di recente a Chicago, da Dead Man Walking a Moby Dick, è il senso di libertà e insiere coerenza compositiva che si respira e una scrittura che dimostra altrettanta maestria nell’orchestra e nelle voci. Questa è un’opera, scritta da un compositore insieme duttile e autorevole che riesce ad attingere a una varieta di linguaggi di matrice afro-americana (incluso il gospel e il blues), per crearne uno proprio che “funziona” con magnifica spontaneità sul palcoscenico. La scelta di un tema “forte” accomuna Fire alle migliori opere di John Adams, Philip Glass, Anthony Davis (autore di X: The Lite and Times of Malcom X) o, appunto, Jake Higgins. Qui si tratta della traumatica esperienza dell’abuso sessuale vissuta da un ragazzino di colore nella Louisiana povera di qualche decennio fa. Il ragazzo, crescendo, rielabora il trauma, accetta la propria sessualità in tutte le sue sfumature e riesce a chiudere il capitolo rinunciando alla vendetta e costruendosi un’identità positiva e produttiva. Basato sul libro di memorie pubblicato nel 2014 da Charles M. Blow, un noto opinionista del “New York Times”, è il primo libretto d’opera della regista cinematografica Kasi Lemmons, da tempo collaboratrice di Blanchard. Lavorando insieme al compositore e a James Robinson, il Direttore Artistico della Opera Theater di St. Louis che ha commissionato l’opera in forma cameristica nel 2019 curandone poi la regia nella versione ampliata vista a New York e Chicago, Lemmons ha creato un testo stringato, efticace e spesso di illuminante e poetica interiorità. La sdoppiatura di Charles nelle due figure del bambino e dell’adulto, che spesso coabitano sulla scena, apre molte posibilità espressive, come quando, nella bella scena finale, il bambino (che in questa scena non canta) esorta Charles a non servirsi dell’arma che ha portato con sà per vendicarsisul cugino Chester, autore dello stupro, e a lasciare la piccola città del Sud per ricostruirsi una vita altrove. Sono bellissime le arie aftidate ai personaggi di Charles e della madre Billie, donna forte che vive con i cinque figli dopo aver cacciato di casa il marito fedifrago e incapace di mantener la familia. Nonostante il grande amore per il figlio più piccolo, Billie non riesce a vedere quanto è realmente accaduto. Con saggezza forgiata dalle difficoltà della vita, essa gli.

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Revista "l'Opera"

Tosca, Fire shut up in my bones

Una stagione chiusa in belleza

Di Marta Tonegutti